Breve storia della Canapa in Italia

Un breve estratto che racconta la storia della canapa in Italia: Il suo sviluppo era molto legato all’espandersi delle Repubbliche marinare, che l’utilizzavano grandemente per corde e vele delle proprie flotte di guerra.

Fino agli anni Trenta, l’ Italia era seconda solo alla Russia nella produzione canapiera, mentre era prima come qualità e selezione delle specie vegetali e genetiche. In Italia, alla fine del 800, era normale acquistare in farmacia l’ estratto di canapa indiana proveniente da Calcutta e i sigaretti di canapa indiana per curare l’ asma. Per alleviare le sofferenze di questi malati esistevano persino dei gabinetti d’ inalazione che venivano riempiti con il fumo della canapa bruciata.

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In Italia la canapa è stata utilizzata per millenni. In pipe preistoriche ritrovate nel Canavese sono riscontrate sue tracce. La regione ai piedi delle Alpi piemontesi prende il nome di “Canavese” proprio dalla canapa, e sulla bandiera c’è la sua foglia. Per millenni i nostri antenati si sono vestiti, nutriti, scaldati, hanno pregato, scritto, si sono curati e si sono sentiti meglio anche grazie a questa pianta.
Negli anni ’50 l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa del mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). La varietà “Carmagnola” forniva la miglior fibra in assoluto, e le rese unitarie per ettaro erano (e potrebbero ancora essere) maggiori che in ogni altro paese. Per secoli (almeno fino dal 1300, l’acquirente era la Marina Inglese) l’Italia ha esportato canapa, e da sempre la canapa italiana è stata riconosciuta come produttrice della miglior qualità di fibra tessile per indumenti. Nei testi di agricoltura preparati negli anni ’70 (gli ultimi in cui esistevano ancora qualche decina di ettari di terreno coltivato a canapa), si legge:
… nel 1978 le statistiche ufficiali la dicono coltivata su appena 60 ettari… Le poche note che seguono hanno lo scopo di tener vivo l’interesse per una pianta che fornisce una fibra veramente pregiata, anche se è poco probabile che, nella situazione attuale, la canapa possa riguadagnare, anche solo in parte, il terreno perduto.
…La canapa è una pianta di notevole capacità di adattamento nei confronti del clima e del terreno, tanto più che il suo ciclo vegetativo è breve… È coltura nettamente miglioratrice che può essere seguita da qualsiasi altra e innanzitutto dal frumento. Il canapaio lascia il terreno ben rinettato dalle male erbe per l’effetto soffocante della sua vegetazione rigogliosa e fitta, inoltre lascia anche un notevole residuo di forza vecchia, frutto del lautissimo apporto di concimi, in prevalenza organici, distribuiti in eccedenza al fabbisogno della coltura.
Ma anche sotto l’aspetto fisico-meccanico il terreno dopo il canapaio si trova nelle migliori condizioni, grazie all’azione perforante esercitata dai suoi fittoni e all’effetto protettivo della densa vegetazione che impedisce l’azione costipante della pioggia sul suolo…
La canapicoltura potrà guadagnare parte del terreno perduto solo se si potrà tenere distinta la fase agricola del ciclo produttivo della fase più propriamente industriale. La fase agricola dovrebbe concludersi con la raccolta; la fase industriale dovrebbe farsi carico di tutte le operazioni successive. …Oggi si tende a rilanciare la coltura della Canapa valorizzando anche la sua capacità di fornire grandi quantità di cellulosa, che può essere impiegata nell’industria cartaria, per la preparazione di carta di pregio”.1

Nessuno sapeva, né doveva sapere dell’esistenza di una macchina chiamata “decorticatore”2, brevettata nel 1916 da G. Schlichten in grado di separare le fibre dalla polpa: lavoro che ha sempre richiesto una lunga e faticosa manodopera, con costi finali sempre più alti.
La canapa era sempre stata usata dunque per vestirsi e produrre qualunque tipo di cordame, tessuto, carta (fino all’inizio del ‘900 la quasi totalità della carta era fatta con la canapa), i suoi semi davano un ottimo olio combustibile e in campo farmaceutico le sue applicazioni erano vastissime:  “Piero Arpino nel 1909 elenca un ricettario terapeutico che occupa 11 pagine del suo libretto Haschish, e contiene prescrizioni diverse di canapa per 43 malattie…da Amenorrea a Zona (Herpes Zoster), comprendenti tra l’altro Blenorragia, Calli e Verruche, Cholera, Oelirium tremens dei bevitori, Impotenza, Insonnia, Paralisi progressiva, Tisi polmonare (contro i sudori debilitanti)“.3

Era normale comprare in farmacia l’ ”estratto di canapa Indiana”, proveniente da Calcutta, e i “sigarretti di canapa indiana”, per la cura dell’Asma. Il professor Raffaele Valieri nel 1887 compì importanti ricerche sul valore terapeutico della canapa coltivata in Campania per la cura dell’asma, e arrivò persino a aprire un “gabinetto di inalazione”, che veniva riempito col fumo prodotto dalla combustione della canapa e dove i pazienti di asma potevano trovare sollievo alla loro malattia.
Nelle nostre campagne era comune (fino all’arrivo delle “sigarette americane”, il cui uso denotava un cambiamento di status sociale) l’uso di canapa in sostituzione del tabacco, ma era un segno di povertà, e con l’inizio dell’industrializzazione e il miglioramento delle condizioni economiche si cominciò a pensare che tutto quello che facevano e dicevano i “vecchi” fosse frutto della loro ignoranza, e che solo le cose “moderne” avessero valore (e si cominciò a usare la plastica…).
Fino a poco dopo la seconda guerra mondiale era normale, in un paese la cui economia era essenzialmente agricola, coltivare canapa. Con la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico”, cominciarono a essere imposte sul mercato le fibre sintetiche (prodotte negli USA) e la canapa cominciò a sparire non solo fisicamente, ma anche dal ricordo e dalle tradizioni della gente.
Alla fine degli anni ’50 si cercò ancora (ingenuamente) di rilanciare la coltura in rapido declino di questa pianta, che tanto aveva significato per la nostra economia; ma mentre si sperimentavano nuove varietà ibride e si stavano preparando grossi impianti per la macerazione e la lavorazione industriale della canapa, il governo italiano nel 1961 sottoscriveva una convenzione internazionale chiamata “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988), in cui la canapa avrebbe dovuto sparire dal mondo entro 25 anni dalla sua entrata in vigore.
Si cominciò a sentire la parola “marijuana” (gergo dialettale di Sonora, Messico), che negli Stati Uniti era servita alle autorità, nel periodo fra le due guerre mondiali, per confondere le idee su quello che in realtà era questa sostanza (se gli agricoltori, la classe medica e le industrie che utilizzavano canapa si fossero accorti di cosa si stava cercando di eliminare, probabilmente non lo avrebbero permesso). Cominciarono ad arrivare, sempre dagli USA, resoconti allarmistici sulla possibile “pericolosità” di questa sostanza, descritta come “l’assassina della gioventù”, “spinge ad atti omicidi”, “fa diventare ciechi”, “rende impotenti”, “provoca il cancro”, “danneggia le cellule cerebrali”, e altre assurdità del genere.
Insieme a questa campagna di false informazioni presentate dai media, sempre dagli Stati Uniti arrivò un fenomeno di rivolta giovanile verso le istituzioni (“hippies”, “figli dei fiori”) con tutta una controcultura di contorno. La “Marijuana” divenne spesso la bandiera di movimenti politici contro governi autoritari e repressivi. Molti giovani amanti della libertà videro in questa repressione una decisione arbitraria e ingiusta, e si schierarono dalla parte della canapa. Il suo uso da parte di questa categoria di persone crebbe progressivamente negli anni ’70.
Sempre in quegli anni, in Italia si fecero importanti ricerche per ricavare carta dalla canapa, e in seguito a uno studio presentato alla CEE, l’Italia dal 1977 riceve un contributo dalla Comunità Europea per coltivare canapa per la produzione di carta. Le acque della nostra pianura Padana sono attualmente avvelenate dall’atrazina, che si usa per ricavare carta dal legno degli alberi. I pesticidi per i pioppi (che servono alle cartiere) sono fra i più tossici esistenti.
Nel 1975 esce la “legge Cossiga” contro gli stupefacenti, e negli anni successivi gli ultimi ettari coltivati a canapa scompaiono. Con la scomparsa delle ultime piantagioni di canapa scompare anche la coscienza di “cosa sia” questa pianta.
Fino all’entrata in vigore della legge “Vassalli- Jervolino”, n. 309, del 1990 il possesso di modiche quantità di canapa per uso personale era ancora consentito, anche se decidere quanto fossero “modiche” è sempre stato di pertinenza del giudice nei confronti di “chi” la usava. Con la legge n. 309 del 1990, l’uso personale di sostanze “proibite” è reato. Nel 1993, dopo più di 2 anni di politica fallimentare della legge 309 (aumento dei tossicodipendenti e dei problemi correlati all’uso di eroina, aumento dei consumatori di cocaina, aumento della popolazione carceraria) è risultata nella maggioranza degli italiani la volontà di revisione dei principi proibizionisti ai quali la legge si ispira. Dopo 3 anni dal risultato del referendum, quasi nulla è cambiato, ed è possibile essere incarcerati per il solo possesso di canapa, o, se in possesso di quantità infinitesimali, possono venire applicate sanzioni amministrative come il ritiro della patente e del passaporto, ecc.
La canapa viene poco alla volta a scomparire anche dai libri di botanica, erboristeria, erbe medicinali, agronomia, ecc.(addirittura dai dizionari di computer), e al giorno d’oggi pochi sanno cosa sia realmente.4
Nel 1994 e 1995 la sola canapa coltivata ufficialmente in Italia, sotto lo stretto controllo delle forze dell’ordine, é stata quella presso l’ ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia l’Ambiente), organismo di ricerca statale. Tentativi di coltivazione a scopo didattico (in Emilia, in Valle d’ Aosta) sono stati repressi.

Attualmente ci sono in Italia, secondo le stime ufficiali, più di 5 milioni di consumatori di canapa (soltanto per la resina e i suoi derivati). Questi cinque milioni di persone rischiano ogni giorno, per il solo fatto di ricavare benessere da questa sostanza, una pesante limitazione delle libertà personali. A chiunque, solo per il fatto di essere “sospettato” come consumatore, può essere richiesta un’analisi delle urine. Se i risultati sono positivi (si può aver consumato, o soltanto essere stati in ambienti con presenza di canapa fino ad alcuni giorni prima, e si risulterà ugualmente positivi), vengono ritirati patente e passaporto. Per riaverli si è obbligati a risottoporsi, e a risultare negativi, a queste analisi per 3 mesi, e a volte per molto più tempo (immaginiamoci se venissero sospese 5 milioni di patenti di guida…).

 

1 da: “Coltivazioni Erbacee” di A. Grimaldi, F. Bonciarelli, F. Lorenzetti; Edagricole; Bologna,1983
2 Questo tipo di macchinari (gramolatrici e scavezzatrici) erano stati usati nel bolognese dall’inizio del secolo e solo adesso si cominciano a riscoprire conoscenze che sono state tenute (volutamente ?) nascoste.
3 Marijuana e altre storie” di Cesco Ciapanna; Cesco Ciapanna editore; Roma, 1979; p.148
4 Sembra che l’inizio del processo di occultamento di informazioni su questa sostanza risalga, in Italia, al periodo del fascismo -vedi il libro “L’erba di Carlo Erba” di G. Samorini edizioni Grafton Bologna, 1996.

 


Tratto da: “Il Canapaio 2 – tecniche agronomiche – 2a edizione”
stampato nel marzo 1996 per conto di 1-900-w.c.?(Amsterdam Marnixstraat 173) 
in collaborazione con Cox18 Centro autogestito di Via Conchetta 18 – MI,
i quali ringraziano Robert Connel Clarke per la gentile concessione dei disegni e grafici contenuti in questo manuale, ricavati da Marijuana Botany, di estrema chiarezza ed efficacia nell’illustrare i testi contenuti.
Un grazie particolare a D.Markgraaf, Marco P.,Dodo e a COX 18 che hanno reso possibile, con la loro disponibilita’, lo svolgimento di questo lavoro.

Gli autori della versione cartacea concludevano ringraziando tutti i coltivatori e tutti i consumatori di canapa del mondo.
E’ merito loro se esiste ancora la pianta che potra’ “salvare il pianeta”, ed e’ merito loro la battaglia per l’accettazione delle sue qualita’.